La resistenza come guerra civile

Ragione e torti di Claudio Pavone

Claudio Pavone, morto la notte del 28 novembre a Roma a 93 anni è stato uno storico serico e coraggioso, capace di guardare alla realtà quale essa gli appariva senza pregiudizi e remore ideologiche. La sua ricostruzione della Resistenza come parte di una “guerra civile” fra italiani suscitò un inevitabile scandalo, perché per la prima volta un partigiano, quale Pavone era stato, usava la stessa definizione proveniente dal neo o post fascismo. Ernst Nolte, in Germania, parlava di “una guerra civile europea”, e del resto tutto iniziò in Spagna nel 1936, proprio con l’impiego di quella definizione. Ma la tradizione partigiana usava il termine di “guerra di liberazione”, per porre in chiaro il discrimine fra l’età nazifascista che si chiudeva e quella nuova, democratica che si sarebbe aperta. Il problema è che Pavone nonostante non gli fosse piaciuto nulla di quella precedente, rimase deluso da questa nuova età. Pavone faticava a cogliere i segni della mutazione avvenuta, per accorgersi di non riuscirvi. Rimase un convinto sostenitore della teoria per cui la macchina dello Stato fosse passata dall’esser monarchico fascista a repubblicana, senza sufficiente discontinuità. Pavone era un estremista, aderì al Psiup, e il confluire nella nascente nuova Repubblica del personale fascista lo indispose profondamente. Ferruccio Parri cercò di convincerlo che sarebbe stato difficile fare diversamente, che se si fosse, ad esempio, mandato a casa tutto il ministero dell’Interno, nessuno sarebbe stato capace di portare avanti lo Stato. Pavone era invece pronto a sopportare i costi di una rivoluzione che non venne, da qui la sua disillusione ed una lettura diversa da quella tradizionale della Resistenza. La sua tesi all’epoca, correva il 1991, l’accogliemmo con una certa freddezza. Ammesso che egli avesse ragione, si trattava pur sempre di italiani schierati l’un contro l’altro magari per un singolo caso fortuito, molto spesso di giovanissima età, ci premeva restasse chiaro chi avesse ragione, i partigiani, e chi torto, i fascisti. Poi abbiamo dovuto ammettere anche i torti dei partigiani. Fu proprio Parri a parlare di “macelleria messicana”, riguardo a Piazzale Loreto. Meglio allora sempre tenere amente che anche la ragione non può escludere di commettere torti, e che per scatenare una nuova guerra civile basta molto meno di una scelta sbagliata. Un piccolo passo falso potrebbe essere sufficiente.

Roma, 30 novembre 2016